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Se c’è qualcuno che ancora possiamo definire Maremmana, Ribelle e Scrittrice è Luciana Bellini.

Stefano Pacini


Che dire di Luciana Bellini scrittrice? Sono stati spesi nomi molto illustri ai quali paragonarla: Mario Pratesi (ma è autore troppo poco ironico, molto melanconico e pessimista, troppo colto); Renato Fucini (che ha riprodotto i dialoghi del popolo, ed è simile alla Bellini per comicità ed uso di parole “contadine”, ma è pur sempre un riproduttore, mentre quello che Luciana scrive è la sua lingua); Andrea Camilleri (che trova contatto con la Bellini proprio per lo spessore che l’uso del dialetto conferisce ai suoi personaggi, altrimenti destinati ad essere inascoltati e inascoltabili).

Il modo che Luciana ha di raccogliere e narrare i racconti della sua famiglia, del marito, dei vicini mi fanno venire in mente altri autori di grandissimo carisma (come il Roddy Doyle di “Rory and Ita” o il Gabriel Garcia Marquez di “Vivir para contarla”, o il J.M. Machado de Assis dei racconti brevi).

Io ritengo che Luciana Bellini sia soprattutto se stessa, e cioè un grande talento naturale, esploso casualmente a cinquant’anni, spontaneo, gustoso, allegro, ma anche profondo e riflessivo, ironico ed autoironico. Fa parte di quelle “cose” che non possono essere raccontate, ma che vanno provate, come il vino della sua terra.

Bruno Mazzocchi


Luciana, per accedere alla storia del mondo, non si è mai saziata della sua sete di conoscenza “curiosa di scoprì quel che c’era scritto dentr’a que’ libri gonfi di parole”… anche per riscattare la sua condizione e quella dei suoi genitori, quella di tutti i contadini. Ha capito che per dispiegare le ali della giustizia c’era bisogno non solo di fare delle lotte… ma di saper parlare, altrimenti i padroni ci avrebbero sempre tenuti sotto. E c’è riuscita. Ma poi, quando la sua vita si è sistemata, quando ha trasmesso ai suoi figli la tenacia, la determinazione della nostra generazione… ha sentito il bisogno di non dimenticare, affinché tutto il patrimonio accumulato durante l’infanzia e la gioventù non andasse perso. E ridendo delle sottolineature in rosso dei calcolatori, ha raccontato la sua storia in un maremmano esplosivo, musicale… donandoci dei piccoli capolavori…

Adriano Petta


“Fra gli “analfabeti” la più istruita è Luciana Bellini, contadina e pastora di capre e pecore, ha fatto la quinta elementare: “Io a scuola non ci sono più andata per ribellione: non mi piaceva stare tutto il giorno “boncitta”… ad ascoltare la maestra. Ma scrivere mi è sempre piaciuto. Mi viene naturale, come lavare i piatti o piantare l’orto”.

Jenner Meletti su “Il Venerdì di Repubblica”


Colpisce (in Luciana Bellini, ndr) il culto d’una memoria – personale ma anche “collettiva” – rappresentata da una serie di oggetti: Un letto di ferro battuto, il lavamano con la catinella, il canterano, il baule, la seggiola, la tenda, l’uscio; o le forcelle, la sottana di peloncino… Erano “preziosi”, quegli oggetti: con essi si stabiliva un rapporto particolare. Come col “cappotto novo”, rosa, qualcosa di più del pastrano – il “paramiserie” – che doveva servire anche per coprire gli abiti vecchi e sdruciti…

Stefano Lanuzza


La Bellini ci parla di un tempo particolare e di una zona altrettanto particolare, periferica, paesana, legata al mondo contadino ed operaio. E ragiona sulla sua storia più intima: quella dell’infanzia e dell’adolescenza che si combina con il periodo delle grandi trasformazioni della società italiana e che vede, anche in Maremma, l’affermarsi delle lotte per la terra, per i diritti ad un’esistenza più giusta e priva di sopraffazioni.

Il nuovo registro di scrittura che la Bellini usa nel suo lavoro è quello di parlare delle cose che le stanno a cuore ragionando degli argomenti con grande “leggerezza” senza farli pesare, senza quasi nominarli: questo mi sembra un buon modo per affrontare i temi di oggi facendo paragoni con il passato.

Corrado Barontini


Con “C’è una volta la Maremma”, sua seconda prova narrativa, dopo “Racconti Raccontati” (ed. Morelli, Scansano, 1998) Luciana Bellini ci guida alla scoperta di un microcosmo paesano della Maremma collinare, attorno agli anni ’50 del secolo da poco concluso.

Siamo a Scansano, attivo centro agricolo, e allora anche minerario, in un arco di tempo in cui il tessuto produttivo e culturale, ancora saldo agli albori del boom economico, e pure sordamente investito dalle prime tensioni di quella che di lì a poco esploderà come l’era del consumismo.

In “Racconti Raccontati” l’io narrante si calava moltiplicandosi nelle innumerevoli voci di un coro composito, attingendo alla memoria e alla trasmissione orale della vita vissuta di almeno un paio di generazioni di uomini e donne; in “C’è una volta la Maremma” la nostra A. sprofonda nella rievocazione del proprio io infantile. I rapporti familiari, il vicinato, il mercato, le feste, una folla di personaggi, tutto illuminato dallo sguardo irrequieto e curioso di una cittina di pochi anni, in totale mimesi linguistica con un orizzonte paesano/rurale dalle variegate sfaccettature; una cittina che non viene mai chiamata per nome, un soggetto impaziente che tutto interroga, persone e cose, ma che da persone e cose si lascia incantare e trasportare in un continuo alternarsi e sovrapporsi di concretezza e fantasia, dubbio e credulità.

Maria Pisano sulla rivista culturale “Pagine dal Sud”, dicembre 2004.


Voci cucite insieme da Luciana Bellini, con la maestria di un cantastorie: stavolta la narratrice-testimone si fa recipiente che raccoglie e amplifica, dà voce alle donne e le trasforma in romanzo. Anna, Livia, Elena, Rosina e le altre raccontano, finalmente libere, quel che finora non avevano il coraggio di dire. E la scelta di usare la ruvida e dolce carezza dell’inflessione maremmana aggiunge umanità e verità a un romanzo corale già molto generoso.

David Fiesoli sul quotidiano “Il Tirreno”, edizione del 22 gennaio 2005


Luciana Bellini nei suoi racconti, scritti in un vernacolo mai filtrato da revisioni esterne, condizionamenti editoriali, tanto meno da ambizioni linguistiche altre dalla fedeltà alla sua lingua natìa, ci regala con innata capacità letteraria bozzetti di quei tempi e anche dei tempi anteriori, quelli della nonna Diomira, quando la vita era sofferenza e frustrazione, ma anche sentimenti e insegnamenti tanto semplici quanto profondi.

Monica Marzini, che sugli scritti di Luciana Bellini ha impostato la sua tesi di laurea


Luciana sa raccontarci da par suo il ritmo stesso della nostra modernizzazione a tappe forzate, la pervasività della sua retorica accattivante (…) lo sradicamento brutale della millenaria civiltà contadina che ne seguì, i venticinque anni che ci condussero a imboccare la strada dritta e senza fine del progresso come falso progresso…

Antonello Ricci, dall’introduzione a “Tre pezzi 100 lire” di Luciana Bellini (Edizioni Effigi, 2013)


Luciana Bellini è una contadina (…) che, fin dal periodo della Riforma, vive in un podere nei pressi di Scansano. Come tiene a precisare, a scuola non è andata oltre la quinta perché non le andava proprio a genio, così che i suoi scritti, cosa molto rara e preziosa, non passano attraverso il vaglio dell’istruzione e della cultura dominante, portando la testimonianza diretta e genuina di un mondo, quello contadino, che la storia ufficiale da sempre distorce ed emargina.

Nello Nanni su “Amiata – Storia e Territorio”, rivista quadrimestrale di studi e ricerche sul territorio amiatino, aprile 2013.


Io leggo “I Detti e Ridetti” (di Luciana Bellini, ndr) perché in essi c’è tutta la storia e la realtà sociale di una parte della Maremma toscana che mi è nota, ed appartiene ai paesi di poco meno di un secolo fa, quando c’erano povertà, abitudini diverse da quelle odierne, carenze igienico-sanitarie e curiosi comportamenti della gente, andati forse in disuso. Una realtà che oggi mi pare del tutto sconosciuta ai più, probabilmente perché è scomparsa, la quale si è protratta fino agli anni ’50 del Novecento.

Rino Guerrini su “Le Antiche Dogane”, periodico storico tecnico scientifico sulle origini, le evoluzioni del territorio e le strutture in esso contenute”, aprile 2022


Luciana ci porta nel suo paese delle meraviglie, un borgo in bianco e nero di donne con le vestaglie infarinate, con le scarpe, le calze, le sottane tutte nere. Nere pure le forcelle nei capelli, anche quelli bianchi o neri. Nero nero anche “Gesù ‘n croce” soffocato nel buio delle tasche.

Ci accompagna nelle Processioni dove le Madonne erano due, una “ricca” inanellata e un po’ “spinosa”, l’altra, l’ “Addolorata” più “boncitta”, mamma umana e dolcissima. Ci tira nelle fiere urlate e nei chiassetti a spettegolare.

Con Luciana Bellini torniamo piccini, complici di scherzi e filastrocche a raccogliere gli “orecchini della Madonna” o i fiori di somaro sui prati e a rincorrere il volo del chiccalloro, fino a farci arrivare in quel posto segreto dove contano gli affetti e le piccole cose.

Claudia Cencini