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LUCIANA BELLINI, L’ETERNA “CITTINA”

di Claudia Cencini

Per capire Luciana Bellini tocca ingranare una lunga “retromarcia” che ci riporta a lei bambina o, meglio, a quella cittina nata e cresciuta libera e senza filtri, sempre a caccia di emozioni e conoscenze attinte alla fonte della vita vera di Scansano, il suo paese. Lei dice che a scuola non c’andava volentieri, ma a vederla in quelle foto di bambina con il pennino in mano e il libro aperto sul banco si capisce che già in lei c’era il germe della futura scrittrice. Ce lo dicono i suoi occhietti vispi, intenti ad assorbire immagini e parole fermate sulla carta, anno dopo anno, fino a comporre un puzzle straordinario di persone, luoghi e cose che i suoi scritti hanno salvato dalla mano del tempo.

La Scansano di Luciana cittina, però, ha poco a che vedere con l’immagine edulcorata di terra del Morellino osannata oggi dai “vipponi”, era nel Dopoguerra un borgo rurale, vivace e popoloso, sopravvissuto alle macerie del conflitto, dove si rifugiava la “Grosseto bene” a ‘estatare’. Vi si ritrovavano a braccetto contadini e commendatori, massaie e dame dell’alta società cittadina. In quel coacervo sociale, Luciana si affacciava al mondo ammaliata da quel “cinema” di paese fatto di voci, schiamazzi, chiacchiere ai capannelli di piazza, pettegolezzi delle donne ai lavatoi o in fila per riempire le brocche alla fontana pubblica. È lì che, inconsciamente, nasce Luciana scrittrice, non sui banchi di scuola, la sua “scuola” erano i vicoli, le scenette paesane, copioni dal vivo brulicanti di vita che daranno corpo ai suoi lavori teatrali più riusciti. È la stessa “cittina” che si alimenta della saggezza dei vecchi proverbi in dialetto, che ascolta e guarda curiosa, assorbe odori di forno e pietanze popolari, s’immerge in un mondo che le rimarrà incollato addosso e impresso dentro come un marchio di straordinaria unicità. Senza quei vicoli, senza quella piazza inondata di voci e colori nei giorni di fiera, senza i “detti e ridetti” della sua gente, Luciana non avrebbe immagazzinato nel suo Dna di scrittrice maremmana doc quel bagaglio di spunti inesauribili a cui ispirarsi, ieri come oggi.

C’è voluta mezza vita perché quella passione per lo scrivere covata fin dall’infanzia esplodesse per caso, un lontano pomeriggio di quasi trent’anni fa, quando Luciana si affacciò timidamente, con il suo fagotto di fogli sottobraccio, all’ingresso della tipografia di suo cugino Carlo Morelli dove si stampava il giornalino TuttoMaremma da me diretto. Mi bastò un’occhiata a quelle pagine per capire la potenza del suo scrivere pregno di vissuto e sentito dire. Quel primo manoscritto vide la luce nel lontano 1989 con il titolo di “Racconti Raccontati”, oggi “cult” di nicchia della letteratura maremmana e del teatro dialettale. Non a caso da lì è stata tratta l’omonima piece inscenata da compagnie dialettali sui palchi tosco-viterbesi e non solo. È stato solo l’inizio di un viaggio avventuroso, emozionante e coinvolgente che ha dato a Luciana quel che è di Luciana, un’eredità non solo narrativa, ma ampiamente documentale da trasmettere alle nuove generazioni, storie di uomini e donne di ieri che hanno molto da dire a quelli di oggi. Una storia che si arricchisce di un nuovo capitolo sul web, dove Luciana approda per la prima volta, pur allergica alla rete, lei che “litiga” con le chiocciole delle mail, ma in una veste nuova che ci auguriamo possa farla conoscere a un pubblico più vasto e assortito, come merita. Parlando con Luciana si ha quasi l’impressione che il tempo si sia fermato e che lei sia rimasta la cittina che saltellava nei vicoli di un paese in bianco e nero, a cui ridà colore. In questo senso possiamo dire che in lei vive lo spirito del fanciullino pascoliano al femminile, che si alimenta di memorie preziose, magicamente tenute in vita dalla sua penna.