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Nella giornata per dire no alla violenza contro le donne si alza la voce della scrittrice Luciana Bellini

Domani, 25 novembre 2022, è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Tra femminicidi, violenze domestiche, fisiche o psicologiche, regna ancora troppa ingiustizia e omertà, ma la scrittrice Luciana Bellini, da sempre donna per le donne, fa sentire la sua voce anche e soprattutto su questo tema caldo, anzi rovente, che popola la cronaca nera ogni giorno e non accenna purtroppo a spegnersi. Anche tralasciando gli episodi eclatanti che vedono le donne vittime degli uomini, nell’ombra si consumano ancora troppe discriminazioni che relegano la donna a ruoli gregari nel mondo del lavoro e anche fra le mura domestiche, spesso schiavizzate, sfruttate o svilite. Luciana ci insegna che essere donne è difficile, oggi come ieri, ma lascia aperto uno spiraglio alla loro rivincita per potersi riappropriare di ciò che meritano. 

Abbiamo scelto uno stralcio dal suo libro “Il Mestiere Finito” (Laurum Editore), che nel 2013 ha vinto il premio della sezione “Racconti” del concorso letterario “GROSSETO SCRIVE”, con la seguente motivazione: “L’aspetto più caratteristico è il linguaggio. L’autrice usa in modo divertente ed efficace il vernacolo, con risultati brillanti, presenta così con ironia ed apparente leggerezza temi e problemi molto seri, anche se non nuovi, come la questione femminile, i problemi dell’agricoltura, ecc. I giudizi, anche molto severi e graffianti nei confronti di una struttura sociale ingiusta e maschilista, sono espressi in maniera gioiosa e gradevole”.

Non a caso l’estratto lucido ed eloquente che abbiamo voluto estrapolare dal libro fa luce in maniera a volte spietata ma vera sull’universo femminile, si sofferma sulle criticità e gli ostacoli a cui è esposto quotidianamente e non ha bisogno di essere commentato perché parla da solo.

Luciana la dice lunga in questo colloquio virtuale con il  suo “tacchino” (o per dirla alla maremmana “billo”) Angiolino, al quale si rivolge a cuore aperto come se stesse conversando con qualcuno in grado di ascoltarla e controbattere, in realtà parla con il suo “alter ego” e va dritta al nocciolo della questione e dell’attualità in materia di donne senza tempo: 

“Da le donne, caro ’l mi’ Angiolino, il mondo ha sempre preteso e pretende il sacrificio, la dedizione, la pazienza, la sopportazione, la rassegnazione. Te, una come me, ce la vedi lì a sedé al tavolino di un bar a piglià l’aperitivo coll’amiche o a sorseggià un caffè co’ la schiuma? Te lo dico io Angiòlo: una donna de la mi’ razza che, dop’avé consumato si fermasse lì a giocà a carte o a biliardo, farebbe gente! Farebbe spéce, avrebbe detto la mi’ nonna.

E difatti, nè a pinpòn né a flipper nè a biliardino: giocà, ho giocato da piccina e basta. Una passione tutta mia non ce l’ho mai avuta. Di sicuro, te Angiòlo penserai che io sia poco socievole, per niente malleabile, spenta e vòta dentro. E io senza manco pensacci ti rispondo che per coltivà un qualsiasi interesse, per dedicassi a un passatempo qualsiasi, ci vòle tempo! E a me, chi me lo dava il tempo? Eh caro: quando ciài ’na famiglia come aila mia da tirà avanti, le passioni, anche se tu ce l’avessi, le cancelli! Te sai che devi pensà a loro, e di te, te ne scordi del tutto: ti cancelli.

L’òmini so’ differenti. Famiglia o non famiglia, loro: caccia, pallone, tiro al piattello, briscola, bocce… qualsiasi svago se lo concedono e gli viene concesso per Diritto Canonico e per Diritto quell’altro. Nessuno si meraviglia, nessuno li richiama al dovere, a nessuno gli fa spéce quel comportamento.

Te Angiòlo sei giovane, e le frasche non sai manco che roba so’. Io mi ricordo che giù pel vicolo, spesso-spesso le donne entravano in quelle cantine a cercà i su’ mariti ché non trovavano più la via di casa:

“Ovvìa su Gigi, gnamo bello ch’è l’ora di cena” gli dicevano co’ le bòne. E se quello era in vena gli dava retta, sennò le maltrattava e a sòn di madonne le rispediva a casa.

Il vino, allora, era un’abitudine: era il vizio di quasi tutti l’òmini, dunque, le donne bisognava avessero pazienza.    

Una donna che beveva, eh no perdio! Una donna che trincava non la compativa nessuno e tutti la biasimavano:

“L’avete vista Caròla? è passata giù co’ ’na scimmia…”

“Ma possibile ’un si vergogni a fassi vedé ’n quelle condizioni?”

Tutte si scandalizzavano e tutte l’additavano.

Eh sì caro Billo: pel medesimo peccato una donna deve di’ parecchie più Avemarie.

Prima se una donna, per amore o per disgrazia restava incinta, e da sola e onestamente rallevava il frutto del peccato, era un calvario: fosse campata anche cent’anni quel qualcosa di poco onesto gli restava sempre appiccato addosso. Una che fino al giorno prima era lodata e portata come esempio, all’improvviso diventava il ritratto del demonio! Pare impossibile Angiòlo, ma da madonna a tegame sfondato il passo è breve.

Quante ne succedeva’ anche allora… la televisione non c’era ma: cicicì-cicicì-cicicì-cicicì, chi t’aggiornava c’era sempre. Ti sembrerà impossibile, eppure Billo, se un òmo di famiglia metteva di mezzo una ragazza di vent’anni che di fisico e di testa ne dimostrava meno di dieci, quel delinquente, du’ giorni dopo ritornava il solito galantòmo di sempre. Certe cose io l’ho sapute da grande, e quando la mi’ mamma m’ha detto chi era quel tizio, a bruttomuso gl’ho detto:

“Ma come? Te quella persona l’hai sempre salutata! E la gente del vicolo faceva come te. Io ho sempre pensato che fosse un òmo perbene…”

Che schifo! Come fa un paese, a non levà il saluto a un personaggio del genere?

Allora come ora, ne succedeva’ tante… Senza che mi sforzi la memoria, caro Angiòlo, ti  potrei di’ nomi e cognomi di almeno du’ o tre babbi, che a le su’ figliole gl’hanno fatto fa’ un figliolo! Quei galantòmini dal paese non se ne so’ mai andati, le su’ figliole sì: per loro era una vergogna! Hai capito Billo che razza di bestie siamo noi cristiani?

Pe-la-mor-di-ddio… se la mi’ mamma mi sentisse fa’ ’sti discorsi, co’ la smorfia del disappunto scritta nel muso mi direbbe:

“Ormai è acqua passata: che bisogno c’è di rammentà ’ste cose?”

C’è bisogno c’è bisogno: eccome se c’è bisogno! Però non la rimbeccherei, ché io so’ quella sbagliata: la figliola disobbediente che ragiona all’incontrario. Dunque gli direi di sta’ tranquilla, ché certe cose le penso, ma non le dico a nessuno! Mi raccomando eh Angiòlo, non mi sputtanà!

Mica ti sarai offeso no? Questo è un modo di di’: chi racconta i su’ segreti o i fatti dell’altri, sottovoce poi ti dice:

“Mi raccomando eh, acqua in bocca!”

Dunque, Billo, non ti devi impermalì: se ’un mi fidassi di te, starei zitta.

Lo vòi sapé che domanda mi frulla nel capo in quest’istante? Io mi chiedo: ma come faranno i mariti, a delegà tutto a noi mogli? L’economia de la casa e l’altri annessi e connesssi, passi, ma i figlioli perdio, so’ figlioli! Che questa sia una dimostrazione di fiducia assoluta, di stima esagerata, non ci so’ dubbi: senza fiatà, ci dicono che noi siamo affidabili, stabili, concrete, delicate, amorose! E’ evidente che per loro, noi donne siamo nate coi controcoglioni: se avessero il benchè minimo dubbio non ci lascerebbero da sole a cresce’ la prole. Ti torna? Nemmeno te che sei una bestia affideresti i tu’ figlioli a la strega de le novelle o a la Magamagò in persona, vero?

“Chiò, chiò, chiò”

Hai ragione Billo: se prima ero cascata in un merdaio, questo è un ginepraio… Allora spiegamelo te: dimmi come mai, l’òmini ci riconoscono tutti queste qualità, eppoi, nell’ambito lavorativo, a noi donne ci considerano meno che zero. Basta guardassi intorno pe’ vedé che la moglie del Ministro, Ministra non è quasi mai, la moglie del Presidente, è Presidentessa? E difatti io so’ coadiuvante, mica Capòccia! Ma bisogna mi contenti così: se so’ in regola co’ le marchette, tra qualche anno qualche soldo di pensione lo piglio!

A la mi’ nonna quando gli dettero quella dei Coltivatori Diretti, brillava di contentezza, ché cinquemilare, a quei tempi erano una cifra esagerata per chi, i soldi ’nne vedeva manco col binocolo. E lei tutta briosa diceva:

“Non me lo sarei mai cresa d’arrivacci… Questi so’ quattrini sicuri! Che pàcchia: anche se piove, ogni du’ mesi riscòto! Ora posso piscià anche a letto e di’ che so’ sudata!”

Certo che, come salto generazionale, c’è stato poco: lei era Proprietaria d’un pezzetto di terra, io so’ Coadiuvante…

Massì: anche quando so’ calma e paciosa, so’ sempre polemica! Non c’è niente da fa’: la mi’ natura è questa e, qualsiasi cosa dica, la dico col tono sbagliato e in malomodo. A parte te Angiòlo, come fo a trovà chi m’asseconda?

Te l’ho detto prima: manco le donnette de la mi’ spéce mi capirebbero. Invece di dammi ragione mi risponderebbero:

“Ma perchè ti riscaldi tanto? Anch’io so’ Coadivante ma in casa mia, io so’ Padrona quanto e più del mi’ marito!”

E quell’altre farebbero tutte sisì col capo e rincarerebbero la dose:

“Aaaah il mio, m’ha sempre dato mano libera: io, fò e disfò a piacimento”

“E io, uguale! Oltre a le mia di faccende, mi occupo anche dell’altri interesi: se c’è d’andà al Catasto o in qualsiasi altro ufficio giù a Grosseto, piglio la mi’ macchina e vò!”

“Io fò come te: in Banca, al Sindacato… E quando al mi’ marito gli dòle qualcosa, dal Dottore a spiegagli dove e quanto gli fa male, chissà chi ci va!”

“So’ tutti uguali: il mio, se le pasticche gnele metto davanti… Nonò, anch’io non mi posso lamentà: prima di vende’ o di comprà qualcosa, il mi’ marito chiede l’ordine a me!”

“Il mio, lui me lo dice sempre: I calzoni, portà le porto io, ma comandà comandi te!”

Mah, sarà… forse ho capito male io e, tra Coadiuvante e Capòccia non c’è punta differenza.

Anche se non sembra, a volte perfino le parole più chiare ti possono confonde’. Se a te, Billo, ora ti dicessi: Uomo, te, so’ sicura penseresti all’òmo e a la donna. E invece no!

Finiamola qui Angiòlo, tronchiamo il discorso, ché si chiàcchera a vànvera e basta.

Almeno questo però fammelo di’: noi donne di famiglia bisognerebbe si smettesse di volé fa’ tutto noi! Si dovrebbe cercà di ésse un pochino più democratiche e lascià campo libero all’òmini: se si facessero collaborà invece di estrometteli a vita dalla vita de la casa, forse anche l’ormoni poi ci farebbero parecchio meno scalpore.

Poretti, magari lì per lì si sentirebbero spersi, frastornati e del tutto fòri posto, però poi, una volta entrati nel meccanismo, ci scommetti Angiòlo che creperebbero di orgoglio?

Sai che soddisfazione scoprì che al cittìno gl’è spuntato il primo dente e che, gli basta un dito tuo de la tu’ mano pe’ camina. Camina da solo! Se poi casca e piange, lo chiappi, lo pieni di baci e lo tiri su: lo fai volà, lo fai volà e lui contento ride e t’abbraccia, t’abbraccia e ride…

Non è uno scherzo Angiòlo: io penso che se davvero si fosse in due, la fatica fisica e i pensieri sarebbero parecchio, ma parecchio meno de la metà! Il morbillo, l’orecchioni, il vaccino, l’asilo, eppoi il catechismo, il ricevimento dei professori…La malattia dell’anziani di casa, l’agonia e la morte, così come le ricorrenze più felici, se si fosse una vera coppia, s’affronterebbero senza più fatica.

Hai ragione Billo: l’òmini, non è che non hanno voglia di sta’ dietro a ’ste minutaglie perché so’ vagabondi. M’ero scordata d’un dettaglio: loro, l’òmini, LAVORANO! Dunque, non è né pigrizia né mancanza di rispetto nei confronti della mamma, della moglie o della figliola. Loro, non hanno colpe! Siamo noi donne che si sta’ sempre lì a combatte’ col peccato.

“Ciò, chiò, chiò”

Che c’è Billo? Ti sei annoiato?

“Chiò, chiò, chiò”

Non ho capito se sei d’accordo o se mi rimbecchi.

Te l’ho detto prima: chiaccherà è facile, capissi è un’altra cosa.”